Se i rari documenti e perfino il ricco epistolario boldiniano non consentono una esplorazione approfondita della personalità e della biografia di Berthè, figura centrale della esistenza sentimentale e artistica di Giovanni Boldini, il quale, trasferitosi nel 1871 definitivamente a Parigi, incontrò la giovane modella legandovisi, presumibilmente, per oltre un decennio, sono piuttosto i numerosi e straordinari ritratti a lei dedicati dall’artista a restituire la misura di una avvenenza stupefacente e a consacrarla suprema icona di quegli attributi femminili che rispondono al nome di charme, bellezza e eleganza.
Fra tutte la più bella, l’immagine di Berthè rappresenta idealmente un intero decennio di pittura, vale a dire a partire da quel fatidico novembre del 1871 quando, concludendo la lunga parentesi toscana e poi il soggiorno londinese durato quasi un anno, il pittore lasciò definitivamente l’Italia e poi Londra – dove aveva ritrovato gli amici De Tivoli e D’ancona e goduto della protezione dell’abbiente mercante Reitlinger e dei nobili Cornwallis West – alla volta di Parigi, città cosmopolita, nell’immaginario collettivo baluardo della libertà di espressione e culla della modernità.
«…Caro Banti / [scriveva Boldini al suo amico fiorentino il primo novembre 1871] Sono a Parigi da una settimana (..) lavoro molto / durante l’inverno sarò costret- to di dare una corsa a Firenze per due o tre giorni (..) avrò dunque il piacere di stringerti la mano (..) Parigi (..) mi piace un bugerio [sic] è sempre gaio e sempre prilante [sic] e le donne sono sempre le prime per l’amore…»
Per poi emendare le proprie intenzioni soltanto sedici giorni dopo: «…Credo non verrò più a Firenze, sono troppo impegnato con Parigi / Ho un amante qui da far venire l’acqua alla bocca, è troppo bella è troppo buona / quindi mi sarebbe impossibile lasciarla per ora…»
Sebbene le testimonianze del clima di entusiasmo che caratterizzò i primi mesi parigini risultino piuttosto esigue e soltanto una fra le immagini a noi note potrebbe, a oggi, essere identificata con il dipinto in oggetto e anzi, i ritratti, spesso datati, dedicati alla avvenente modella, siano da far risalire per lo più al periodo ’72-’78 – ma a questa datazione potrebbe aver concorso una cattiva lettura dellacifra stilistica boldiniana, comunemente ritenuta in questo periodo meno evoluta rispetto alle espressioni più caratteristiche del decennio successivo – nondimeno, le sembianze di Berthè sono immortalate in una serie di una quarantina di mirabili ritratti che costituiscono un capitolo a sé della produzione dell’autore e la punta di eccellenza del così detto periodo Goupil, conclusosi nella sua guisa integrale intorno al 1878.
In un stato di fervore, immerso nell’atmosfera spumeggiante della Parigi cosmopolita e libertina di Montmartre, lontano mille miglia dall’Italia e dalla mentalità provinciale di Firenze, Boldini, in compagnia della bellissima Berthè, che presumiamo possa essere stata una delle modelle professioniste del suo enturage,
già, probabilmente, al servizio di altri artisti prima di lui, nel febbraio del ’72, scriveva ancora all’amico pittore toscano con tono ironico e divertito, avvertendolo della sua nuova situazione: «…Caro Banti / Spero che non sarai morto / Cosa vi è di nuovo di te e quando mi vieni a fare una visita a Parigi? Questa città è la sola, la vera per gli artisti, qui si lavora molto, ci si diverte e si arriva avere tutto ciò che si desidera, vi è una gaiezza, una vita fra gli artisti che fa piacere / Si lavora molto e si è pagati bene, non si è mai venduti tanti quadri come quest’anno / Goupil ha cominciato a far montare la mia pittura molto bene / Io ne sono contentone […] ho preso un pianoforte Erard per quando mi viene l’estro musicale!…
Berthè, fanciulla dai tratti gentili e dalla spiccata avvenenza, è ancora effigiata in questo dipinto che possiamo annoverare fra i capisaldi dell’intera produzione dell’artista e nel quale la speciale capacità d’interpretazione di Boldini rende con esiti straordinari la sottile eleganza dell’universo femminile parigino dell’epoca, emancipato e particolarmente erudito.
Berthè, intenta ad osservare un ventaglio, indossa un vestito accuratissimo e ricercato nei dettagli, in un salotto connotato da un arredamento così importante da presentarsi come involucro appropriato a rendere e a intensificare la forza espressiva del ritratto.
La peculiarità del pittore consiste, infatti, ritratto per ritratto, come sostiene Tinti, da “la disposizione d’animo e vorrei dire di stile in cui a volta a volta lo pone il diverso carattere morale, oltre che fisico, dell’originale … Non si tratta di una dedizione illustrativa alla realtà empirica, ma di una vera e propria aderenza ritrattistica nel senso più alto della parola” (M. Tinti, Giovanni Boldini ante Parigi, in Emporium, Vol. LXXX, n. 475, Luglio 1934 – XII, p. 6).
Nel periodo di collaborazione con Goupil, il ferrarese diventa il rappresentante di un mondo che sovente si riveste dei panni del passato: in piccole scene in stile settecentesco o impero tutto assume un carattere dinamico, il pittore mostra l’adesione ai modelli figurativi portati in auge da Meissonier, artista allora di gran moda nella capitale francese, espressione di una ricercata eleganza e di un puntiglioso descrittivismo che porta a distinguere Boldini “per la ricerca dello chic nella cifra” (A. Cecioni, Scritti e Ricordi, a cura di G. Uzielli, Firenze, 1905, p. 370). Se in questo interno l’artista si compiace ancora dello stile consono a quello dell’Atelier Goupil, utilizzando pennellate fitte, accuratamente disposte sulla superficie alle quali si accompagna una evidente brillantezza e un’attenzione puntuale per i particolari, elementi chiave dello stile à la mode, nondimeno è già consapevole delle proprie
capacità di pittore, propenso a farsi accorto interprete della realtà contemporanea che qui rappresenta ritraendo la sua sensuale e bellissima musa. A Parigi è solito frequentare il Café la Nouvelle Athènes dove si ritrovano gli Impressionisti e, benché autonomo nelle scelte creative, è sicuramente aggiornato sulle loro ricerche formali. Di tutti questi pittori, tuttavia, Boldini stima veramente solo il grande Degas, e, appena giunto a Parigi, riguardo alle proprie preferenze artistiche, confessa: “Il primo è Corot, dopo viene subito il mio amico Degas” (L’opera completa di Boldini, a cura di C.L. Ragghianti e E. Camesasca, Milano, 1970, p. 84).
Una stessa concezione dello spazio pittorico infatti, pervaso dalla coscienza dell’inevitabile fluire del tempo, accomuna i due artisti anche se “Degas blocca l’immagine, imprigionandola in un fotogramma nell’attimo in cui l’azione sta accadendo, Boldini vive tale labile rappresentazione dell’istante con una straordinaria agilità segnica che si traduce in una rara capacità di rendere con immediatezza la figura umana” (T. Panconi, Giovanni Boldini. L’opera completa, Firenze, 2002, p. 27). Inoltre, l’artista francese lo spinge a considerare nuovamente con maggior interesse gli interni piuttosto che le rappresentazioni all’esterno. Così, se già nel 1873 Boldini prende una posizione di distanza nei confronti di Meissonier e comincia a vederlo “ormai passato artista” non più degno di attenzione (A. Cecioni, Scritti e Ricordi, op. cit., p. 74), verso la fine degli anni settanta tende a creare immagini nelle quali, alla raffinatezza e alla sensualità delle forme, lega la ricerca di soluzioni compositive più audaci e ricercate.
Questa opera risale dunque a uno dei momenti decisivi e più importanti della attività di Boldini, quando, intorno al 1878, andando scemando il rapporto con Goupil, egli si comincia a distaccare dalla maison, producendosi in una nuova più libera e ricercata cifra espressiva che conserva, ancora per poco, i caratteri migliori di quel brillante, intenso e strabiliante descrittivismo, ora più fluido e maturo.
Da Tiziano Panconi, Boldini Mon Amour, Pacini Editore, Pisa, 2008